Una Voce Forte

Giovani e precari: è un problema o è il mercato?

Una Voce Forte esplora le contraddizioni del precariato: giovani esclusi dai mutui, imprenditori alle prese con costi e normative, speranze e sfide

In questa puntata di “Una Voce Forte” il nostro conduttore Riccardo Cecconi ha intervistato due ospiti sul tema dell’occupazione e del precariato tra i giovani.

Nove giovani su dieci in una condizione lavorativa instabile

Poco tempo fa la CISL del Veneto ha divulgato un dato che ha gettato molti nello sconforto e nell’allarmismo. I dati annunciano che un ragazzo under 30 su 10 in Veneto ha un contratto a tempo indeterminato. Questo significa che gli altri 9 o sono disoccupati o sono precari. Il precariato è un problema per i giovani under 30 proprio perchè se si è precario la banca non eroga mutui e di conseguenza l’individuo è impossibilitato a metter sua famiglia o a proseguire nel suo progetto di vita.

I contratti dei precari non permettono agli individui di poter far carriera e di conseguenza alle casse dell’INPS rimane invariato l’importo ricevuto. Dato ciò aumenta in percentuale la difficoltà che l’INPS già sostiene nel pagare le pensioni.

D’altro canto c’è chi dice che il precariato è una risorsa perchè permette agli imprenditori che operano in un mercato complesso di abbattere i costi vivi legati al lavoro. Così la classe imprenditoriale può sostenere la grande competitività nei mercati internazionali.

L’idea di un’insegnante del doppio standard

Marina parla di precariato come un forte problema sociale che pesa sulle famiglie e sull’evoluzione della società e dell’individuo stesso. I giovani hanno voglia di lavorare e sanno adattarsi, ma è quasi impossibile scavalcare un muro così alto a loro imposto. Ciò non permette di avere una vita dignitosa, né di ambire a un cambiamento sociale. I giovani di oggi non sono mai stati aiutati da quei governi con slogan simili a “Dio, patria e famiglia”, anche se per metter su famiglia c’è bisogno di una certa solidità economica.

Marina pensa che il vero problema non siano le piccole realtà imprenditoriali che hanno alti costi di gestione e non ricevono ausili statali, ma le grandi imprese come le multinazionali. A suo parere i grandi volumi di affari di quest’ultime dovrebbero aiutare a garantire ai lavoratori un buono stipendio, alti livelli di qualità e contratti dignitosi, invece così non è. Sarebbe in tal caso utile una doppia normativa per piccoli imprenditori e grandi aziende.

Le preoccupazioni per il settore di un piccolo imprenditore artigiano

Piero, invece, guarda il problema dal punto di vista imprenditoriale. Un imprenditore, a suo avviso, avrebbe piacere nell’assumere più dipendenti e aumentare il volume di produzione, ma i costi da sostenere sono troppo alti. Un imprenditore deve avere la possibilità di investire. L’economia nazionale, e quindi l’occupazione, parte tutto dagli imprenditori, soprattutto i piccoli.

A suo dire le piccole aziende gioverebbero nell’assumere a tempo indeterminato le persone e a retribuirle adeguatamente, ma in questo momento storico è economicamente difficile. Nonostante tutto, Piero è d’accordo con Marina. Lui sostiene, infatti, che il problema sia politico: bisogna aiutare le piccole imprese artigiane che sono un grande tessuto dell’Italia. È importante attrarre i giovani in questo settore e retribuirli adeguatamente per far crescere questo settore.

La speranza dei giovani di un’inversione di tendenza nella realtà normativa del precariato

Da un lato l’ISTAT ci informa che il numero dei precari sta diminuendo rispetto agli assunti a tempo indeterminato e che nel 2023 c’è stata una piccola crescita dei contratti a tempo indeterminato. Si potrebbe pensare che c’è stata un’inversione di tendenza e che finalmente si torni un indietro rispetto al precariato selvaggio che abbiamo visto in Italia fino all’altro ieri.

Però poi ci si scontra con la realtà normativa: un decreto lavoro che è stato licenziato negli scorsi mesi dal Governo che va ancora una volta nella direzione del precariato, dando alle aziende più possibilità di movimento e più capacità di rinnovare contratti a tempo determinato. Un’inversione di tendenza è soltanto congiunturale se non c’è una normativa che la sostenga.

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