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Lando Arbizzani: “Ho visto la morte in faccia”

Lando Arbizzani rivela in modo crudo e intenso i suoi incontri con la morte durante la guerra e nel lavoro industriale a Porto Marghera

Nel suo libro “Porto Marghera: una vita”, Lando Arbizzani parla della morte che ha incontrato sia nel periodo bellico sia nel periodo lavorativo.

“La morte nel periodo bellico è stata una cosa che potevo e non potevo capire. Uscivo dalla scuola dell’infanzia con la mamma e abbiamo visto un aeroplano che volava molto in alto e poi ha sganciato un puntino nero. Gradualmente questo puntino si è rivelato essere una bomba molto grossa. Erano bombardieri che tornavano dalla Germania e quindi avendo la bomba innescata, ma agganciata male, l’hanno scaricata dove pensavano ci fosse campagna. In realtà nell’aia di una casa colonica e dallo spostamento d’aria dovuto all’esplosione sono morti 5 persone: 2 nonni e 3 bimbi. Mi hanno portato a vedere questa camera ardente, ma io lì la morte non capivo cos’era: sembravano dormire, non avevano niente di che.”

Lando Arbizzani racconta come ha affrontato la morte da vicino

“Invece, poi, la volta dove ho incontrato veramente la morte è stata all’Ospedale Umberto I dove, mentre io ero ricoverato per un intervento chirurgico alla mano sinistra. Hanno portato un ragazzo col quale avevo chiacchierato un po’. Era caduto da un capannone del petrolchimico. Quando mio padre è passato a salutarmi, andando via mi ha detto che quel ragazzo non sarebbe arrivato a domani mattina. Io mi ero ribellato a questa diagnosi così infausta, ma in realtà il papà aveva una tale esperienza che aveva già visto cosa sarebbe capitato. È iniziata un’agonia lenta, ma tremenda che io ho seguito con gran dispiacere perchè ce lo avevo di fronte. Poi è andato in coma ed è morto.”

“Altre volte, la morte l’ho vista in faccia. Quando sono stato intossicato dal gas, quando mi sono trovato in una nuvola di etilene a bassa temperatura e non sapevo più cosa fare, sapendo però che se avessi respirato, sarei morto all’istante. Era proprio gas puro che usciva. Oppure quando ho sottratto alla morte quell’operaio che si stava soffocando e sono entrato nel recipiente e l’ho praticamente salvato.

Poi in altre determinate occasioni. Ho la fortuna di essere molto freddo e quindi, quando sono in emergenza, resto calmo e risolvo. Dopo magari mi agito a posteriori pensando a quello che poteva capitare. Per fortuna questa caratteristica mi ha salvato la vita più di una volta.”

Lando Arbizzani continua: “Ricordo che nella officina del mio mestiere eravamo in 25 e, dopo tre anni che ero lì, più di metà soffrivamo di ulcera duodenale e gli altri avevano mal di fegato. Gli organi interni venivano danneggiati da questo continuo deglutire di saliva arricchita dal gas acido e poi in aggiunta a queste pastiglione di vitamina che erano esagerate. La vitamina fa bene, ma non troppa. Eravamo costretti a succhiarle per non sentire quel cattivo odore del gas che ci toglieva il respiro.”

Il gas era proprio una caratteristica che segnano quella stagione operaia della città di Porto Marghera, dove l’aria industriale era fortemente ad impatto di chimica pesanti, molto inquinante.

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