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Lando Arbizzani: specializzato grazie ai corsi serali

Lando Arbizzani spiega quanto i corsi serali siano stati importanti nella sua carriera per diventare operaio specializzato

Lando Arbizzani parla della sua esperienza con i corsi serali e dello staton difficile dei lavoratori, prima della rivoluzione del ’68.

I corsi serali all’Istituto Veneto per il Lavoro

Paolo Della Vecchia: “Ad un certo punto, hai cominciato anche ad avere delle aspirazioni maggiori, quelle di diventare operaio specializzato. Quindi, ti sei messo a studiare e ti sei iscritto all’Istituto Veneto per il Lavoro. Come hai cominciato a studiare le serali? Che cosa hai fatto?”

Lando Arbizzani: “Il primo corso è stato quello di disegno tecnico, dalle 18:00 alle 20:00. Due ore alla sera, poi, a casa, dovevo magari fare i compiti, per portarli il giorno dopo. Quel corso mi è servito moltissimo nel mio mestiere, perché mi metteva in una posizione superiore a tanti operai specializzati che non conoscevano il disegno. Quindi, a loro il capo doveva spiegare, con le mani, esattamente cosa dovevano fare.

Per me era automatico: una volta che mi diceva, io sapevo già cosa fare. Poi ho fatto un corso biennale di analista chimico. A me la chimica era sempre piaciuta e questo è quello che mi ha aperto la possibilità di essere assunto direttamente in Sicedison.

Solamente che, dovendo assolvere il servizio militare, loro mi hanno detto di tornare quando avessi finito, che mi avrebbero assunto. Al ritorno dal militare, non serviva più un’analista chimico. Allora il capo del personale mi ha chiesto che mestiere facessi e ho detto di essere stato un turnista con la Saipem e mi ha messo in manutenzione. Mi hanno assunto e questa è stata una serie di volani, che mi hanno consentito di emanciparmi proprio nell’età a cavallo fra il servizio militare, prima e anche dopo”.

I pericoli di lavorare in una città come Porto Marghera

Paolo Dalla Vecchia: “Nel tuo libro Porto Marghera: una vita scrivi “Non era una vita molto facile, anche per le umiliazioni e l’autoritarismo. Le attrezzature erano antiquate e sommarie, fonte di gravi pericoli“. Quali erano questi pericoli che tu vedevi, in quegli anni, all’interno di questa grandissima città industriale?

Lando Arbizzani: “Il primo pericolo era relativo all’inadeguatezza delle attrezzature. Questo quando lavoravo con l’impresa: mentre gli operai avevano le cose che servivano per fare il lavoro, noi dell’impresa eravamo sprovvisti di tutto. Tanto è vero che gli attrezzi ce li dovevamo costruire, ricavando, con dei tubi, delle chiavi per montare i bulloni. E questo portava a volte anche a farsi male, perché avendo delle attrezzature non adeguate l’infortunio era frequente. Quando poi sono stato assunto anche dall’azienda, non era più una questione di attrezzature. Perché le attrezzature c’erano, ma l’autoritarismo era ancora molto pesante.

Ed è proseguito, quell’atteggiamento, fino al cosiddetto ’68, quando c’è stata la rivolta, che non è stata molto sentita degli operai. Ma gli operai, in quel caso, hanno preso la palla al balzo per affrancarsi da quel gesto autoritario, che consentiva ai superiori di dare un ordine e di non accettare nessuna difficoltà, che uno volesse presentare. A questo mi riferivo come autoritarismo ed era una violenza continua verso le persone a mio parere”.

GUARDA ANCHE: Lando Arbizzani: essere operaio a Porto Marghera

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