La Voce della Città Metropolitana

CGIA di Mestre: preoccupazione e opportunità con Recovery Plan

Quante aziende rischiano di saltare con l'arrivo della riconversione in chiave dell'industria e quanto pesa la piccola dimensione delle imprese sulla ripartenza. Ne abbiamo parlato con l'Ufficio studi della Cgia di Mestre

Maria Stella Donà intervista Andrea Vavolo della CGIA di Mestre sul futuro delle aziende tagliate fuori dalla transazione energetica green.

Draghi ha detto che ci sono aziende che non possono essere convertite, qual è il loro futuro?

“Il discorso di Draghi riguarda il Recovery Plan il quale è un piano di riconversione con fondi europei di 191 miliardi più i nostri per arrivare circa a 250 miliardi, di cui 183 miliardi di progetti nuovi, gran parte dati all’economia verde e sostenibile.

È un momento di grandi cambiamenti, se io vado a prendere il DEF e conto i disegni di legge che usciranno ne vediamo 22 dei quali ci sono le 3 riforme più importanti: Pubblica Amministrazione, Giustizia e Fisco.

È chiaro che tra questi cambiamenti qualcuno ne uscirà danneggiato ma è presto per capire quali aziende siano così come quelle che usufruiranno dei vantaggi.

Con tutti questi soldi in ballo è importante che tutto vada a buon fine.

60 miliardi vengono utilizzati per economia circolare, agricoltura sostenibile, energia rinnovabile, efficienza energetica e tutela dei territori ma dobbiamo capire che non siamo messi così male.

Siamo abituati a essere la cenerentola d’Europa ma se andiamo a vedere le classifiche che riguardano l’aspetto economico con quello ecologico l’Italia ha il 17,7% delle risorse reimpiegate ed è al primo posto per l’economia circolare inteso come un qualcosa che esce da un sistema produttivo e viene fatto rientrare come materia prima e riutilizzato, come riciclo abbiamo un tasso del 49,8%, inoltre nel periodo dal 2005 al 2019 le emissioni di gas serra si sono ridotte del 19%.

Tutto sommato possiamo essere contenti ma abbiamo ancora molti gap, c’è ancora molto da fare.

Nella filiera agricola si introducono fondi per innovare tecnologicamente per ammodernare il settore primario”.

Si parla di ridurre il parco macchine a favore del trasporto pubblico, questo inciderà nelle PMI venete?

“Si parla del passare da una tecnologia ad un’altra come il passaggio all’elettrico ora si pensa all’idrogeno che riguarda il trasporto pubblico e le grandi aziende energivore.

Secondo noi è un passaggio obbligato visto che la Francia sta puntando molto su questo e vuole superarci nella produzione manifatturiera. Su questo ci saranno delle opportunità ma anche dei problemi, sul terziario bisognerà vedere come verrà declinato nei fatti”, continua Vavolo della CGIA di Mestre.

Nel mondo dell’artigianato non c’è preoccupazione?

“Veniamo da una crisi molto forte, oltre alle aziende chiuse, tutte le imprese hanno avuto difficoltà.

Andiamo verso nuove opportunità ma anche verso preoccupazioni, aumentano i depositi bancari famigliari perché c’è la paura di investire.

Il piano deve portare delle riforme in un clima di fiducia, senza una di esse ci fermiamo praticamente”.

Veneto Sviluppo parla di aggregazione delle piccole imprese per difenderle

“Bene la difesa del territorio, l’aggregazione a nostro avviso non è la panacea di tutti i mali.

Di solito si dice che in Veneto ci sono tante piccole e medie aziende e questo viene visto come un fattore di debolezza ma se andiamo a confrontarci con gli altri paesi questo è un luogo comune visto che è il 99% delle aziende in Europa. Se vediamo le aziende con meno di 10 dipendenti la Francia ne ha di più percentualmente.

Più che avere troppe piccole imprese è la mancanza di grandi imprese la vera questione, la Francia sopra i 250 dipendenti ne ha 1000 più di noi”.

Però siamo ancora noi la seconda potenza manifatturiera d’Europa

“Non sempre paga avere grandi imprese questo è vero, le nostre microimprese sono molto vicine all’entità di fatturato di quelle tedesche che sono molte di più quindi non è detto che la dimensione dell’impresa sia un fattore per giudicare l’economia.

Le nostre grandi imprese, a mio avviso, le abbiamo perse per una serie di carenze del nostro sistema economico così son scappate. Una su tutte è la lentezza del sistema giudiziario e non porta a investire qui.

Abbiamo un gap infrastrutturale molto pesante e si fa sentire in un paese come il nostro. Il 22% delle risorse di cui noi abbiamo bisogno arrivano dall’estero e nell’interscambio entrata/uscita è materiale. L’Italia è un grande paese trasformatore, riceve 1 e da indietro 4 ma se un’azienda non riesce a spostare i prodotti in tempi e modi efficienti con gli rimane altro che andare all’estero”.

Quindi è più importante l’infrastruttura che la grande impresa?

“Il senso è che necessario un clima favorevole come avere una giustizia che funziona cosa che non c’è”, ha detto la CGIA di Mestre

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