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Paky porta Rozzano a Milano

Il live di Paky all'Alcatraz esprime la rabbia e la fame dei ragazzi cresciuti a Rozzano, luogo in cui continua a scrivere i suoi pezzi

Il recente concerto di Paky all’Alcatraz di Milano era più che sold out, con 3500 paganti pronti a saltare insieme al rapper emergente più in hype del momento, consacrato da una serie di ospiti eccellenti come Marracash, Gué e Luché. Quello che emerge però dai suoi live è esattamente in linea con la rabbia e la fame ancora presenti nelle sue canzoni.

L’influsso di Rozzano

Non mancano mai i riferimenti a Rozzano , il luogo in cui è cresciuto e da cui di fatto non è mai uscito. Lo dice lui stesso nei brevi spezzoni di video che intervallano un set e l’altro, una sorta di documentario che svela la sua quotidianità: «Faccio tutto qui, scrivo qui, vivo qui», confida mentre si aggira per le vie di un comune dell’hinterland milanese tristemente famoso. Come se Paky non fosse mai arrivato primo in classifica con l’album Salvatore. La sua musica non è escapismo: nelle sue canzoni egli si fa portatore della sua realtà periferica come se ancora gli appartenesse appieno, come ai tempi di “Rozzi”.

Le scenografie

La semplicità domina anche la scenografia: sale sul palco vestito esattamente come va in giro di solito, con tanto di borsello a tracolla. L’unico elemento scenografico è una riproduzione della torre Telecom di Rozzano, suo malgrado diventata il simbolo della cittadina. Inoltre solo un gruppo di comparse reclutate informalmente per mettere insieme qualche scena di vita di strada: bambini che giocano, ragazzini che smazzano sostanze, una rapina con tanto di scooterone che entra da una quinta e poi sgomma via.

Paky, l’impiccato

La rabbia sembrerebbe dunque essere il motore che lo muove davvero. Una rabbia a tratti furiosa, che pervade anche i pezzi apparentemente più leggeri (“Tre litri di profumo non tolgono il tanfo di infame”, dice nella super hit virale Auto tedesca). Non a caso, perfino il suo stesso nome d’arte ha uno sfondo macabro: Pakartas è infatti un termine lituano che significa “impiccato”,  abbreviato in Paky. Proprio durante la canzone Non Scherzare in cui spiega il suo alias, dal soffitto dell’Alcatraz spunta un cappio che Paky si infila prontamente al collo e che terrà fino alla fine del pezzo. Probabilmente una scenetta teatrale, ma che di sicuro tradisce sentimenti più profondi.

Una cosa è certa: Paky è uno degli artisti più interessanti degli ultimi anni, e uno dei rapper più promettenti d’Italia.

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