“Non abbastanza vicino”, la performance sulla guerra

Giovedì 20 dicembre al Teatro Astra andrà in scena “Non abbastanza vicino”, la performance de La Piccionaia sulla guerra contemporanea ideato da C. Presotto e U. Pizzolato.

Dopo la presentazione in forma di studio, lo scorso luglio all’interno del festival “Terrestri d’Estate”, sta per debuttare la nuova produzione de La Piccionaia dal titolo “Non abbastanza vicino”, una performance interattiva sul tema della guerra contemporanea nata nel solco del progetto Silent Play. L’appuntamento, realizzato con il sostegno della Fondazione Cariverona, è per giovedì 20 dicembre (ore 21) al Teatro Astra.

La performance prende a prestito il titolo da una citazione di quello che è stato forse il più importante fotografo di guerra della storia – Robert Capa, che scriveva “If your picture aren’t good enough, you’re not close enough”. Il lavoro affronta il tema della narrazione del conflitto contemporaneo e lo fa a partire da una figura, quella dell’operatore umanitario, che vive oggi una crisi profonda, con gli ospedali diventati obiettivi militari e le farmacie e gli ambulatori sistematicamente distrutti e saccheggiati. Lo spettacolo nasce infatti dall’inedita collaborazione tra l’attore e regista Carlo Presotto, che ne firma anche la drammaturgia, e Umberto Pizzolato, 20 anni di esperienza come operatore umanitario in zone di conflitto con Medecins Sans Frontieres.

Un artista e un operatore umanitario, dunque, che si guardano l’un l’altro e si riflettono in alcune domande: cosa ci faccio qui? Perché lo faccio? Chi me lo fa fare? Chi non me lo fa fare? Chi sono i cattivi? Chi sono i buoni? A cosa serve quello che sto facendo? Qual è la giusta distanza tra l’umano e il non umano? Si può guardare l’orrore in faccia senza diventare complici di una pornografia della sofferenza? E con lo strumento del Silent Play, grazie anche alla collaborazione di Paola Rossi e Davor Marinković e al soundscape originale di Andrea Cera, coinvolgono i partecipanti in questa riflessione: “Perché ‘teatro’ – spiegano – deriva dal greco ‘theàomai’, che significa osservare con intenzione per cogliere il significato di qualcosa in una maniera che provoca una trasformazione in chi guarda. La guerra contemporanea è diversa da quella del passato.

Tramontata la rappresentazione degli scontri tra eserciti, riposta nell’armadio come un abito fuori moda (nonostante i colpi di coda nel teatro nord-coreano) la minaccia della apocalisse nucleare, e dopo Uganda, Somalia, Balcani e Siria, la guerra si diffonde oggi in una galassia di forme che tracimano da un Paese all’altro, da un conflitto all’altro, e che sfuggono alle rappresentazioni semplificate in buoni e cattivi, in vinti e vincitori.

Bisogna cercare nuove forme, nuove metafore per rimettere oggi in scena la guerra. È una fatica che il teatro deve assumersi per contrastare l’anestesia collettiva provocata dalla bulimia di immagini in cui viviamo”.

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